Original Article

Ruolo della medicina dello sport nella prescrizione dell’attività fisica come profilassi e terapia

Pigozzi F, Tomassi G, Giombini A
Department of Movement, Human and Health Sciences, Unit of Sports Medicine – University of Rome «Foro Italico», Italy

 

Abstract

Esistono evidenze inconfutabili sui benefici apportati dall’attività fisica nella prevenzione primaria e secondaria di numerose patologie croniche; al contrario, uno stile di vita sedentario può facilmente evolvere nella cosiddetta Sedentary Death Syndrome (SeDS), che rappresenta uno dei maggiori oneri economici per la Sanità Pubblica, per il rischio di causare patologie croniche e numerosi decessi prematuri ogni anno. In Italia, la Medicina dello Sport rappresenta un riferimento fondamentale per chi pratica attività sportiva agonistica o non agonistica. I suoi scopi comprendono: la tutela della salute degli atleti in tutte le discipline sportive, tramite la visita d’idoneità medico-sportiva (tale screening rientra in un programma clinico standardizzato in vigore da oltre trent’anni) e la promozione di protocolli diagnostico-terapeutici che garantiscano lo stato di salute dell’individuo ad alto rischio o portatore di una specifica patologia. Ulteriori evidenze enfatizzano il ruolo dell’attività fisica ai fini terapeutici, come «sport-terapia» individualizzata, nella prevenzione di malattie cardiovascolari, metaboliche, muscoloscheletriche, respiratorie, reumatiche e neoplastiche, migliorando la condizione clinica o, se associate a modifiche nello stile
di vita, favorendo contemporaneamente il controllo e/o la regressione della patologia. L’esercizio fisico praticato con regolarità come strumento profilattico e terapeutico è raccomandato per ridurre morbidità e mortalità, per migliorare la qualità della vita e limitare le spese mediche della Sanità Pubblica.

Abstract

There is incontrovertible evidence of the benefits of regular physical activity in the primary and secondary prevention of several chronic diseases, on contrary a sedentary lifestyle can progress into a Sedentary Death Syndrome (SeDS), which is a major Public Health burden due to its causing multiple chronic diseases and a large amount of premature deaths each year. In Italy, Sports Medicine represents a fundamental reference for those practicing physical activity at competitive or non-competitive level; its purposes include: health care of the athletes practicing all kind of sports, through the pre-participation screening for elegibility (such screening constitutes an established medical programme that has been implemented for more than 30 years), and the promotion of diagnostic and therapeutic protocols to guarantee the state of health of individual at high risk or carrying a specific diagnosed disease. Substantial evidence emphasizes the role of physical therapy in terms of an individualized sport-therapy, in the prevention of cardiovascular, metabolic, musculoskeletal, respiratory, rheumathic and neoplastic diseases, improving the clinical condition or, when combined with lifestyle modifications, favouring concomitantly the control or the regression of the pathology. Regular physical exercise as a prophylactic and therapeutic tool, is strongly recommended to reduce morbidity and mortality, to improve quality of life and to limit Public Health medical expenses.

Introduzione

L’attività fisica riveste un ruolo fondamentale nella vita di ogni singolo individuo, da un punto di vista sociale, economico e medico-clinico. Secondo la World Health Organization (WHO), il 70% di tutte le morti nel mondo nel 2020 verranno attribuite alle cosiddette «malattie non trasmissibili», riconducibili pertanto allo stile di vita (dieta, fumo, al­cool, mancanza di attività fisica) e al contesto sociale in cui il soggetto è inserito: le maggiori responsabili saranno, come prevedibile, le malattie di origine cardiovascolare, in Occidente, e le malattie infettive nel resto del mondo (Africa, Asia, Sud America), nonostante anche in queste zone si stia delineando un quadro simile a quello dei paesi più sviluppati [1,2].
L’attività fisica comprende «qualsiasi movimento corporeo dovuto a contrazione della muscolatura scheletrica ed associato ad un consumo energetico», mentre l’ allenamento è un’ «attività fisica regolare, strutturata e finalizzata al miglioramento e/o mantenimento dell’efficienza fisica», la quale a sua volta è intesa come «quell’insieme di capacità (flessibilità articolare, forza muscolare, composizione corporea e fitness cardiorespiratoria) relative all’abilità di praticare attività fisica e legate ad una riduzione del rischio di mortalità e morbidità» [2]. L’allenamento può essere inserito in un programma di profilassi o terapia, in cui viene utilizzato a scopi preventivi, terapeutici o per il mantenimento dell’efficienza fisica. Uno stile di vita sedentario viceversa, può comportare l’insorgenza della Sedentary Death Syndrome (SeDS), un quadro clinico multifattoriale di disordini determinanti un incremento della mortalità, che rappresenta un gravoso carico da sopportare per la Sanità Pubblica. Le manifestazioni cliniche più frequenti comprendono una diminuita resistenza fisica e una tachicardia a riposo (con potenziale sviluppo di aritmie anche fatali), una debolezza muscolare, una ridotta densità ossea (con aumentata predisposizione a fratture traumatiche e/o patologiche), un aumentato rischio di sviluppo di neoplasie con riduzione delle funzioni cognitive fino allo stato depressivo, iperglicemia e glicosuria come precursori del diabete mellito, bassi livelli di HDL, alti livelli di LDL e trigliceridi ed obesità, inseriti nel contesto di una sindrome metabolica [3]. La pratica regolare e continuativa di attività fisica produce, al contrario, una consistente serie di benefici, oltre che ad una riduzione di disordini metabolici e un miglioramento della qualità della vita [4,5,6].
L’esperienza italiana fornisce informazioni interessanti a riguardo: secondo i dati Istat e del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), dal 1999 al 2013 si è riscontrato un aumento dal 27,5% al 30% di praticanti sportivi sul totale della popolazione maggiore di 3 anni di età, con riduzione del numero di sedentari (1 milione e 203 mila sedentari dal 2009) ed aumento di soggetti «attivi» (1 milione e 598 mila persone in più dal 2010 ed aumento di 2,7 punti percentuali dal 2013). Sono diminuiti progressivamente i fumatori ed il consumo di bevande alcoliche, tuttavia è rimasta invariata la quota di persone in eccesso di peso nel lungo periodo, con il 44,6% della popolazione maggiorenne obeso o in sovrappeso ed una distribuzione non omogenea della pratica dell’attività fisica, che penalizza alcune regioni come il Sud Italia o i piccoli comuni di periferia, dove aumenta la sedentarietà anche per motivi economici [7].
Se si analizzano i dati in età evolutiva, però, il trend risulta in contrapposizione con l’andamento positivo dell’età adulta: secondo la WHO, a livello globale, il numero stimato di bambini obesi o in sovrappeso con meno di 5 anni di età è passato da 28 milioni nel 1990 a 42.6 milioni nel 2011, con un aumento della prevalenza dal 4,5% al 6,6%; in Europa il 20% dei bambini è in sovrappeso, in Italia addirittura si ­raggiunge il 30% per la fascia di età 7–11 anni, con un incremento di circa 400.000 casi all’anno durante l’età scolare. Nel complesso, l’incidenza di obesità, e conseguentemente di diabete mellito e di sindrome metabolica nell’età evolutiva, è in aumento in tutti i paesi più industrializzati, a causa di cattive abitudini alimentari e stili di vita ormai consolidati nella società attuale [8,9].

Ruolo della medicina dello Sport in Italia

La nascita della Medicina dello Sport in Italia risale al 1929, anno in cui fu fondata la Federazione Medico Sportiva ­Italiana (FMSI), ed ebbe inizialmente il riconoscimento legislativo della tutela delle attività sportive con la Legge
28 dicembre 1950 n. 1055: si attua per la prima volta la ­visita d’idoneità fisica specifica per ogni sport (sia professionistico che dilettantistico) e viene stabilita un’età minima per partecipare alle gare agonistiche (15 o 18 anni). Successivamente, con la Legge 26 ottobre 1971 n. 1099 si sancisce che la stessa tutela delle attività sportive spetti alle Regioni ma che il Ministero della Sanità, in collaborazione con il CONI, ne assuma un ruolo vicario durante la transizione dalla FMSI. Viene quindi istituito il Servizio Sanitario Nazionale con la legge 23 dicembre 1978 n. 833, includendo la tutela sanitaria delle attività sportive tra i punti principali.
Con il Decreto Ministeriale del 18 febbraio 1982 vengono stabilite le «Norme per la tutela sanitaria dell’attività sportiva agonistica», tuttora vigenti. Queste norme sanciscono che «ai fini della tutela della salute, coloro che praticano attività sportiva agonistica devono sottoporsi previamente e periodicamente al controllo dell’idoneità specifica allo sport che intendono svolgere o svolgono», così come «i partecipanti ai Giochi della Gioventù per accedere alle fasi nazionali». La definizione di accesso all’attività agonistica ed i diversi ­accertamenti da effettuare per le singole discipline sportive (suddivise in due tabelle A e B in base al differente impegono cardiovascolare e respiratorio) viene stabilita dalla FSN
o dagli Enti di Promozione Sportiva (EPS) riconosciuti (in ­accordo dal CONI).
L’iter legislativo che ha interessato nel corso degli anni la Medicina dello Sport in Italia contribuisce a spiegare la fondamentale importanza che ricopre questa disciplina nel nostro paese: le tematiche di cui si fa carico riguardano non solo la già citata tutela delle attività sportive, ma anche il supporto specialistico alle attività che ricorrono all’esercizio fisico sfruttandone i benefici preventivi e terapeutici, l’attuazione di protocolli di Sanità Pubblica per la promozione dell’esercizio fisico tra la popolazione generale e la lotta al doping in ambito sportivo.
La Medicina dello Sport nel territorio italiano è un importante strumento di prevenzione, in quanto la visita medico-sportiva rappresenta attualmente l’unica occasione per sottoporre una considerevole parte della popolazione ad uno screening preventivo finalizzato ad individuare potenziali fattori di rischio o patologie misconosciute di varia eziologia.
Allo stesso tempo, promuove percorsi terapeutici mirati tramite protocolli standardizzati di Esercizio-terapia o Sport-terapia. Lo sport, infatti, una volta riconosciuta e diagnosticata la patologia e valutati gli opportuni rischi e benefici derivanti da esso, può essere prescritto e somministrato per migliorare la qualità della vita dell’individuo affetto, ottenendo talvolta una regressione del quadro patologico. I benefici più importanti sono stati dimostrati in pazienti affetti da malattie cardiovascolari [2,10,11,12,13]; malattie metaboliche [13,14,15,16]; malattie respiratorie [17]; malattie muscoloscheletriche e reumatiche [18,19,20]; malattie neoplastiche [13,21,22].

Attività fisica e malattie cardiovascolari

Secondo i dati della WHO, le malattie cardiovascolari risultano essere i principali responsabili di morbilità e mortalità nel mondo, con 17.5 milioni di decessi nel 2012, di cui
6 milioni sotto i 70 anni di età, rispetto agli 8.2 milioni per cause neoplastiche [23], con un’incidenza maggiore di questi quadri patologici nelle fasce di età più attive dal punto di vista lavorativo, da cui deriva un conseguente impatto economico e sociale [2]. Uno studio di una Task Force italiana composta da Specialisti in Medicina dello Sport e in Cardiologia, ha confermato il ruolo protettivo dell’attività fisica in pazienti affetti da patologie cardiovascolari, sia per quanto riguarda la prevenzione primaria (ridurre o eliminare i fattori di rischio) che quella secondaria (migliorare il quadro clinico). Un recente lavoro brasiliano effettuato su oltre 10000 soggetti sani dai 35 ai 74 anni ha dimostrato gli effettivi benefici di una regolare attività fisica nella riduzione dei valori di pressione arteriosa, frequenza cardiaca e del «Framingham Risk Score» (algoritmo utilizzato per stimare il rischio di un evento cardiovascolare a 10 anni, tenendo conto dell’età del paziente e di fattori di rischio come il fumo,
i valori di colesterolo totale, colesterolo HDL e di pressione arteriosa media) [24]. Papataxiarchis et al. hanno invece ­avvalorato l’efficacia dell’esercizio fisico in pazienti con cardiopatia ischemica e diabete mellito, come strumento terapeutico da integrare a quello farmacologico e comportamentale [25]. I benefici causati dall’attività fisica in pazienti con fattori di rischio cardiovascolari si traducono in un aumento della funzionalità cardiopolmonare e della forza muscolare, un miglioramento della funzione endoteliale, dell’assetto metabolico e coagulativo, una riduzione del peso corporeo e dei valori pressori medi. Le Linee Guida redatte nel 2016 dalla Task Force della Società Europea di Cardiologia in collaborazione con l’Associazione Europea per la Prevenzione e ­Riabilitazione Cardiovascolare sottolineano come gli effetti del training fisico in soggetti con pregressi eventi cardiovascolari consistano invece in un aumento della soglia ischemica con minor rischio di lesioni coronariche recidive, un incremento della capacità funzionale, ed un aumento della capacità metabolica aerobica dell’organismo, con riduzione della mortalità sia cardiaca che globale [2,26].

Attività fisica e malattie metaboliche

Negli ultimi anni i benefici dell’attività fisica in pazienti affetti da diabete mellito e sindrome metabolica sono stati messi in risalto da numerosi studi [14,16]. È stato comprovato infatti come un programma di esercizio fisico a lungo termine possa determinare una riduzione delle alterazioni metaboliche correlate a tali patologie (pressione arteriosa, trigliceridemia, colesterolemia, glicemia ed emoglobina glicosilata) e delle loro complicanze [2]. Tanasescu et al. hanno dimostrato come l’attività fisica determini una ri­duzione della mortalità cardiovascolare e globale in tali ­pazienti [14]. Sulla base di queste indicazioni, uno studio americano ha redatto delle Linee Guida standardizzate che forniscono approfondite raccomandazioni per lo svolgimento dell’esercizio fisico in soggetti con diabete mellito [15]. Ci sono evidenze scientifiche dell’utilità dell’esercizio fisico anche in popolazioni giovanili con quadri di insulino-resistenza: un recente studio prospettico su oltre 3000 bambini ha sottolineato l’efficacia dell’attività fisica nel trattamento di questi pazienti in età pediatrica (che si traduce prevalentemente in una riduzione del peso corporeo), tramite un sistema di monitoraggio continuo con accelerometro e suddivisione in quattro fasce con diversi tempi di attività svolta durante la giornata [27]. La stessa efficacia nel ridurre il rischio di sviluppare o di aggravare un quadro clinico già esistente, nel caso della sindrome metabolica, è stata confermata anche da altri studi che recentemente hanno suggerito l’inserimento di protocolli uniformati di esercizio fisico da affiancare alla gestione clinica e farmacologica della patologia [28,29].

Attività fisica e malattie respiratorie

Il beneficio dell’attività fisica si riscontra anche nelle malattie respiratorie, tra queste soprattutto le patologie cronico-­ostruttive (bronchite cronica ed enfisema polmonare) e ­l’asma bronchiale, condizioni cliniche nelle quali l’esercizio produce i migliori risultati, come un aumento della capacita vitale, una riduzione della restrizione alle medie e piccole vie aeree ed una desensibilizzazione alveolare che si traducono in un miglioramento dell’efficienza ventilatoria, ed una maggior tolleranza allo sforzo con riduzione della dispnea ed un’aumentata qualità della vita del paziente. Una review sistematica ha recentemente dimostrato un incremento del rischio di ricorrenti attacchi asmatici in giovani pazienti atopici che non praticano regolare attività fisica [30]; Lochte et al. hanno messo in evidenza inoltre come la patologia asmatica negli individui adulti sia correlata ad una riduzione dell’esercizio [31]. Prima di stabilire un idoneo protocollo di esercizio-terapia, è però importante effettuare una valutazione della funzionalità respiratoria del paziente per non aggravare il quadro clinico [17].

Attività fisica e malattie muscoloscheletriche e reumatiche

Nel caso di malattie infiammatorie reumatiche o degenerative croniche, o nei processi riabilitativi post-traumatici o post-chirurgici, la corretta prescrizione dell’esercizio fisico dev’essere finalizzata a garantire un adeguato mantenimento o recupero del trofismo ed a migliorare la forza e l’estensibilità muscolare. A differenza dei precedenti quadri clinici, la prescrizione dell’esercizio fisico dev’essere impostata tenendo conto delle ipotetiche varie fasi di attività/remissione della malattia per evitare un peggioramento del quadro patologico. Un recente studio di Verhoeven et al. ha evidenziato come un programma di attività fisica di tipo aerobico (corsa o bicicletta per almeno 4 mesi, durata di 60 minuti per
5 giorni a settimana) sia in grado di ridurre i processi infiammatori sistemici con un aumento concomitante della forza muscolare, in pazienti affetti da artrite reumatoide [18]. Ulteriori evidenze scientifiche hanno messo in risalto l’efficacia non solo clinica, ma anche psicologica, dell’esercizio fisico su pazienti portatori di malattie reumatiche e muscoloscheletriche degenerative [19,20].
Attività fisica e neoplasie
L’esercizio fisico è dimostrato essere in grado di svolgere un’azione preventiva nei confronti di alcune neoplasie ed è considerato un ottimo strumento terapeutico nei pazienti oncologici [13,21]. In soggetti affetti da neoplasie, la sua azione sembra influire sul recupero di una maggiore autonomia psicofisica e sul miglioramento dell’aspetto psicologico, consentendo una migliore ripresa funzionale e una riduzione delle complicanze. Un recente studio americano effettuato su una popolazione di circa 1,5 milioni di pazienti oncologici, ha confermato il ruolo dell’attività fisica nel ridurre il rischio, di almeno il 20%, di sviluppo neoplastico a carico di esofago, fegato, polmone, rene, endometrio, tessuto linfatico e sangue, colon, testa/collo, retto, vescica e mammella [22]. La prescrizione di un esercizio fisico individualizzato in questi soggetti offre un contributo fondamentale all’interno di un più ampio percorso clinico-comportamentale, determinando un miglioramento della qualità della vita.

Conclusioni

La Medicina dello Sport si pone da sempre l’obiettivo di tutelare lo stato di salute di ogni singolo individuo, tramite programmi di attività fisica a scopo profilattico o terapeutico.
L’esercizio fisico, nell’ambito della prevenzione primaria, riduce gran parte delle cause di morbilità e mortalità nel mondo per malattie non trasmissibili (soprattutto di natura cardiovascolare, metabolica, respiratoria, muscoloscheletrica, reumatica e neoplastica), apportando evidenti benefici nei soggetti portatori di fattori di rischio. Nella prevenzione secondaria, la sport-terapia è parte integrante di un programma multidisciplinare riabilitativo che, dopo un evento patologico diagnosticato, migliora la qualità di vita e riduce le spese per la Sanità pubblica.
In Italia, la Medicina dello Sport rappresenta un esempio da imitare, dal momento che questo Paese si avvale di una legislazione ben definita per lo svolgimento dell’attività sportiva ad ogni livello e i cui principali scopi sono costituiti dalla ricerca di condizioni o patologie che rappresentino un rischio per la salute dell’atleta, tutelando al meglio il suo stato di forma. I programmi di sport-terapia, con cui si somministra un esercizio fisico dosato e individualizzato, devono essere maggiormente promossi in tutti i Paesi, per migliorare la qualità della vita e lo stato di salute di tutti i soggetti a rischio o affetti da patologie diagnosticate.

Conflict of interest

The Authors declare that in this work there are no financial, institutional or other relationships that might lead to a conflict of interest.

Address to correspondence

Prof. Fabio Pigozzi MD, PhD
Department of Movement,
Human and Health Sciences
Unit of Sports Medicine
University of Rome «Foro Italico»
Italy
Email: fabio.pigozzi@uniroma4.it
Phone number: +39 06 36733296

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